L’ORACOLO DI DELFI
a cura di S.
Ciapparelli
I profeti ci hanno
parlato della sostanza e dell’essenza di Dio, e noi spulciamo i loro
testi per scoprirvi la storia, la morale, la poesia o la divinazione!
Oh stupida cecità degli intelligenti e dei sapienti!
Oh mediocrità soddisfatta dei credenti!
Louis CATTIAUX, M+R XIX-1

Gli antichi avevano l’abitudine di consultare i
loro dei; numerosi oracoli disseminavano il suolo greco. Gli dei
rispondevano tramite gli uccelli, il fuoco, il volo delle api oppure
il fruscio del vento tra le foglie di una quercia. A Delfi, il dio
solare Apollo per esprimersi aveva scelto la voce umana: una giovane
vergine, la Pizia, saliva sul treppiede profetico per riferire i
divini oracoli.
Situato
nel cuore della Grecia, il piccolo paese di Delfi accoglieva il
santuario più famoso del mondo antico. Si è d’accordo a situarne
l’inizio nell’ottavo secolo[2]
e l’apogeo nell’anno 500 a.C. L’interdizione del paganesimo e la
chiusura dei tempi da Teodosio[3],
nel 381 della nostra era, misero definitivamente fine all’attività
del santuario.
Leggiamo ne’ Il Messaggio Ritrovato di Louis CATTIAUX:
Vorremmo non scandalizzare i
credenti oltrepassando le immagini, le persone ed i riti che
nascondono il mistero della rigenerazione dell’umanità e della
creazione smarrite.[4]
Siamo,
infatti, convinti che:
Gli antichi Filosofi nascondevano
sotto la finzione di storie poetiche e divertenti, i segreti più
profondi del loro sapere. Insegnavano senza profanare e
trasmettevano così sotto una forma mitologica, alla folla degli
avari e degli ignoranti, la memoria della loro tradizione.
Alcuni
saggi stabilirono anche dei riti per sostenere la fede dei credenti
e guidare i ricercatori verso la scienza divina.
Fu questo, secondo noi, il caso di Delfi, dove l’oracolo
rimase attivo durante più di dodici secoli.
Siamo
coscienti che il senso ultimo della santa mitologia
sia riservato a quelli che avanzeranno in questo dedalo alla
luce del prezioso filo ricevuto dall’Alto. Perciò desideriamo
appellarci alla benevolenza tanto del lettore quanto dei saggi i cui
estratti citiamo affinché perdonino la goffaggine del nostro studio.
Proponiamo al lettore una riflessione sulla funzione della Pizia,
prima di esaminare, in una seconda parte, l’ambiguità del ruolo del
dragone pizio.

LA
PIZIA O L’UNIONE DELL’ANIMA E DELLO SPIRITO
Honneur des Hommes, saint
LANGAGE,
Discours prophétique et
paré,
Belles chaînes en qui
s’engage
Le dieu dans la chair
égarée,
Illumination, largesse !
Voici parler une Sagesse
Et sonner cette auguste
Voix
Qui se connaît quand elle
sonne
N’être la voix de personne
Tant que des ondes et des
bois !
Paul Valéry[8]
Il pensiero divino, per esprimersi, ha bisogno di
prendere corpo. Perciò, Plutarco[9]
scrive :
Il dio di qua si deve servire della Pizia per fare pervenire il
suo pensiero alle nostre orecchie nello stesso modo che la luce del
sole si deve riflettere sulla luna per raggiungere i nostri occhi.[10]
È più
precisamente dello spirito della Pizia, della sua psiche, ciò
di cui si serve il dio1 :
Lo spirito (psiche) dispone del
corpo […], ma in cambio serve da strumento al dio.[11]
Lo
spirito dell’uomo funge da intermediario tra il suo corpo e la sua
anima:
Senza questo corpo spirituale che
si trova tra loro due e che avvolge l’anima, questa non sarebbe mai
riuscita ad unirsi né ad attaccarsi al corpo materiale a causa della
loro diversità e del contrasto tra i loro principi.[12]
Della
stessa natura dello spirito universale, egli fu creato all’origine
per servire l’anima, ma, per colpa della caduta, si è avvicinato
infinitamente di più alla materia. Per il suo tramite, “l’uomo è
reso soggetto all’influenza degli astri”[13],
ai quali questo spirito deve la sua origine.

Secondo
la credenza, Apollo feconda la Pizia tramite vapori che si alzano
dalla terra. Questi hanno per origine il cadavere in putrefazione
del mostro Pitone.
Il mito
più diffuso riporta che la prima maestra dell’oracolo fu la Terra.
Pitone, mostro nato dal suo seno[14],
ne era il custode. Ma questi propagava anche il terrore,
insudiciando le sorgenti, spaventando le ninfe e divorando uomini e
greggi. Quando Apollo si impossessò dell’oracolo, uccise Pitone e lo
seppellì sotto il treppiede profetico.
Si
considerava l’oracolo come il frutto di una vera fecondazione. I
vapori non si alzano da sotto la sedia pitica? Leggiamo
a tal proposito da Origene:
Si racconta a proposito della
Pizia, il cui oracolo sembra oltrepassare gli altri in luminosità,
che la profetessa di Apollo, seduta vicino alla crepa di Castalia,
riceve tramite gli organi femminili un soffio che la riempie e sotto
il cui effetto declama ciò che si considera essere oracoli
rispettabili e divini [...][15]
Lo
spirito della Pizia si trova così veramente fecondato dal soffio
divino; questo cerca, infatti, una sostanza alla quale unirsi e dare
forma:
Nel seme dell’uomo è nascosto un
germe che consolida la sostanza della donna. Così la coscienza di
Dio è come un punto che coagula l’Universo e che gli dona la forma.[16]
L’unione di un dio con una mortale è il fondamento dell’oracolo
delfico. Quest’unione non ci sembra senza relazione con questo
passaggio di Filalete:
L’anima dell’uomo consiste
principalmente in due parti, Ruash e Nefesh, un’inferiore, l’altra
superiore, quella superiore essendo maschile ed eterna, e
l’inferiore, femminile e mortale. In queste due consiste la nostra
generazione spirituale. Arius Montanus dice: “Dagli altri esseri
viventi ed anche dall’uomo stesso, la congiunzione del maschio e
della femmina ha come scopo la fruttificazione e la propagazione che
conviene alla natura degli individui.
Nello stesso modo, le è
paragonata, in seno all’uomo stesso, questa unione intima e segreta
fra il maschio e la femmina, cioè dello spirito e dell’anima (animus
e anima) in vista di produrre il frutto proprio della vita divina
[…]” [17]
Leggiamo nel Il Messaggio Ritrovato :
Sforziamoci di essere come Dio
che unisce in sé
fruttuosamente i contrari di
stessa natura. […][18]
E da Ermete Trismegisto:
La vita è l’unione dell’anima
(nous) e dello spirito (psiche).[19]

Il
frutto di questa unione è la parola del dio profeta, il logos
platonico, definito come la misura di tutte le cose.[20]
La parola è un corpo –
commentò un giorno E.
d’Hooghvorst – poiché può essere afferrata dal senso dell’ udito,
ma è il corpo più sottile che vi sia.
Questa
parola la possediamo dentro di noi, ma allo stato di cadavere,
viziata dal peccato. Purificata, essa dà la sua misura al pensiero
divino che, senza di lei, sogna se stesso senza conoscersi:
Dare misura al senza-limite, è
l’Arte sotto tutte le sue forme. Per esempio, la parola dà misura e
forma al pensiero… come la pura misura del sogno divino dell’oro che
vola, si fissa in un corpo ammirevole e risplendente.[21]
Plutarcoriferisce una credenza che illustra l’aspetto generatore
della parola:
Molti credono e dicono ancora che
la donnola concepisce tramite l’orecchio e partorisce per la bocca,
illustrando così la generazione del logos.[22]
I misteri del verbo sono sessuali –
leggiamo anche nel Le Fil de Pénélope.[23]
Ritroviamo un’allusione a questi misteri nel famoso omphalos.
Questo sasso conico, collocato accanto al treppiede, indica, secondo
la leggenda, il centro del mondo. Due aquile, lasciate da Zeus alle
estremità del mondo, si sarebbero, infatti, incontrate a Delfi
esattamente sopra il posto dell’omphalos. Questa parola greca si
traduce con ‘ombelico’, ma troviamo anche omphè, ‘parola’.
Un’altra etimologia avvicina omphalos a empnein, ‘respirare’,
“perché è tramite lui che l’embrione respira”, ed a phallos,
‘il fallo’, “perché gli assomiglia : è infatti prominente alla
nascita prima che il cordone sia tagliato”.[24]
La Pizia
rappresenterebbe dunque la materia che, purificata, permetterebbe
l’incarnazione e la manifestazione dello spirito divino. È
interessante notare che l’aspetto del frutto di questa unione
dipende delle particolarità di questa materia. In uno dei suoi
trattati, Plutarco ed i suoi interlocutori si chiedono, infatti,
come Apollo, il dio poeta per eccellenza, può ispirare oracoli di un
valore letterario talvolta molto mediocre. Questa diversa qualità è
dovuta al carattere proprio della Pizia.[25]
Anche se il dono è unico, ogni
profeta – commentò E. d’Hooghvorst – è di un vigneto diverso.
Questo
impone agli innamorati della Santa Scienza un’attenzione libera di
ogni pregiudizio, che tiene conto più del peso che dell’apparenza :
Cristo è unico in Dio, certamente,
ma le sue forme sono molteplici nella creazione. Così noi lo
riconosceremo, anzitutto dall’opera e dal peso, poi dalla parola ;
ma mai dall’apparenza.[26]
Infine,
ritroviamo un’idea simile nell’opera alchymica; la diversità delle
sue produzioni non dipende, infatti, dal seme, questo essendo unico,
ma dalle qualità della materia che lo riceve:
Alcuni pensano che il saturno ha
un seme, che l’oro ne ha un altro, e così ogni metallo, ma
quest’opinione è vana, perché c’è soltanto una seme unico, sia nel
saturno che nell’oro, nell’argento e nel ferro: ma il luogo della
loro nascita è stato la causa della loro differenza.[27]

(I misteri di Eleusi)
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PITONE O IL DOLCE FUOCO DELLA PUTREFAZIONE
Con la sua zampa dallo zoccolo di
corno, un asino morto mi ha colpito l’orecchio. [28]
Il sommo sacerdote di Delfi, Plutarco, in uno dei suoi trattati,
chiama il mostro « che tenne Delfi e sconvolse l’oracolo con
la sua brutalità» non Pitone ma Tifone.[29]
Fabre du Bosquet precisa che:
Apollo secondo i Filosofi non era
altri che Horo; perciò hanno fatto uccidere Tifone dal primo e
Pitone dal secondo; sono l’anagramma uno dell’altro.[30]
Tifone, chiamato anche Set, è nella tradizione egiziana il fratello
nemico di Osiride. È spesso rappresentato sotto forma di un asino
rosso.[31]
Fu lui che per astuzia chiuse Osiride in un sarcofago e lo
buttò nel Nilo. Ma Iside, sorella e sposa del dio, ritrovò il suo
beneamato e lo risuscitò con le sue lacrime. Una seconda volta,
Tifone riuscì a catturare suo fratello ; lo smembrò in quattordici
pezzi che disperse attraverso il paese. Un nuovo intervento di Iside
permise la ricomposizione quasi integra del dio : il membro divino
rimase, infatti, introvabile. Horo, il figlio d’Iside e d’Osiride,
vendicò suo padre castrando il mostro.
Osiride, chiuso nel sarcofago, rappresenta il Verbo[32]
che“volendo misurare questo mondo sublunare, vi fu
precipitato in seguito ad un suggerimento del suo nemico”.[33]
Prigioniera in una materia grossolana[34],
manca a quest’anima moribonda la grazia della volatile Iside per
ritornare alla vita.

Una curiosa versione del mito delfico, riportata da Porfirio[35],
ci permette un altro avvicinamento tra il mostro egiziano e quello
greco. Secondo lui Pitagora “scrisse versi elegiaci sulla tomba di
Apollo, mostrando che Apollo era figlio di Silene, che fu ucciso da
Pitone e conservato da lui dentro ciò che si chiama treppiede”.
Strana inversione della tradizione per cui il dio solare, vinto, è
trattenuto prigioniero dal suo nemico.
Ma cosa rappresentano i nostri mostri? E. d’Hooghvorst scrive:
L’asino, Set, rappresenta la
natura di questo mondo. Noteremo che da nature si può trarre per
anagramma, âne-rut[36],
l’asino essendo del resto conosciuto per la potenza delle sue parti
genitali.[37]
Il mito delfico riferisce che Pitone fu trafitto dalle frecce di
Apollo ai piedi del Parnaso. Maier è più preciso:
Questo dragone, leggiamo, è
trucidato alle radici del monte Parnaso, perché è dal Parnaso che il
nostro Apollo è provenuto ed è sulla sua cima che abita con le sue
sorelle le Muse. Così vince il serpente nelle sue radici, grazie
alle sue frecce.[38]
Ci chiediamo se queste radici non sono un’allusione all’osso
sacro; questo “luogo basso” è, infatti, la sede della nostra energia
animale, la radice del nostro sesso. Maier scrive a proposito
di questo:
Si nota che il capro designa la
stessa cosa che Tifone, Priapo, il fallo, i satiri ed i Titani,
visto che questo animale è incline alla libido […] Per ciò, è
considerato il membro generatore che è stato tolto a Osiride, o a
suo padre Saturno o a suo nonno il Cielo.[39]
E più avanti:
[…] con tutti questi mostri, si
intende qualcosa di vile e di disprezzato dal volgo, che possiede la
natura delle bestie selvatiche e dei serpenti, che può però, se è
trattato bene, essere trasformato in una cosa preziosissima.[40]
Fabre du Bosquet “distingue nella natura tre tipi di fuochi: il
celeste, il fuoco centrale o l’archè e il fuoco elementare”.
I due primi sono della stessa natura e destinati ad unirsi.
Il terzo o l’elementare, quando è
eccitato, è distruttivo e di una voracità incredibile. Ferisce i
sensi, brucia, è nell’animale ciò che si chiama sostanza flogistica
e che i medici chiamano il loro calore febbrile. Divide e consuma
l’umore radicale della sua vita.[41]
Ed oltre:
Sono l’Osiride ed il Tifone
mitologici, uno è un fuoco primitivo, umido, vitale che dal
carattere che gli ha impresso l’essere supremo, può produrre
soltanto la perfezione e la conservazione di tutti i misti
sublunari, l’altro non deve e non può essere che un flogistico
universale, che essendo destinato ad essere la pastura del primo
dovrebbe trovarsi nell’aria, come dentro tutti i corpi dove risiede,
solo e soltanto per mantenere la sua promessa e non per soggiogare
il suo maestro. [42]

(il carro di Elia)
Troviamo di questo fuoco un’altra descrizione nel Le Mystère de
la Croix:
Non c’è nessuno al mondo tanto
perverso e tanto corrotto, che non abbia sentito numerose volte
questo tiranno, questa Calamita, questo fondo senza riva, questo
dragone di fuoco, che senza la luce divina è un diavoletto, che per
sua natura è indistruttibile.[43]
Ma l’autore continua e si unisce così a Maier citato sopra:
Perchè è il fuoco, che non si
spegne mai, ma che può essere rinfrescato e cambiato in un fuoco
luminoso dolce e amabile, com’è la natura degli angeli.[44]
Leggiamo nel Il Messaggio Ritrovato :
Il fuoco di Dio edifica la vita.
Quello degli uomini la consuma. Tuttavia la dolcezza del secondo può
manifestare la virtù del primo.[45]
Charles d’Hooghvorst scrive a questo proposito:
Questo fuoco nero che consumava
poco a poco l’uomo decaduto sarà lavato ed addolcito dal fuoco
bianco d’Iside la celeste.[46]
Emmanuel d’Hooghvorst, in una lettera a suo fratello Charles, cita
questo passaggio interessante:
La lingua del serpente è il fuoco
della collera e il seme della donna, il fuoco luminoso dell’amore.
Questi due sono in ogni cosa. Il primo, a causa della caduta, ha
predominato nella natura esterna ed il secondo deve dunque essere
rianimato per brillare di nuovo attraverso la collera,
subordinarsela, mantenerla sotto la sua dipendenza e finalmente,
toglierle il suo potere predominante, affinché possa compiere il suo
ufficio naturale, vero, di servitore della luce. In una parola, i
due fuochi non devono opporsi uno all’altro, ma devono essere una
cosa sola riarmonizzata dalla luce e dall’amore e reintrodotti nel
Paradiso. Quando il velenoso Mercurio nero è così tinto, la sua
angoscia mortale si trasforma in vita trionfante ed il suo vecchio
desiderio scuro in un desiderio brillante di amore, il quale è
capace di fare un puro amore ed una luce sostanziale, cioè di fare
di un corpo terrestre, un corpo celeste.[47]
Questo fuoco doppio
che i Pitagorici rappresentano con la lettera cornuta Y[48],
serve di alimento all’opera alchymica:
L’aprirono (il caos), lo
purificarono, unirono ciò che avevano prima separato, e
l’alimentarono con un fuoco doppio, denso e tenue, fino a portarlo
all’estremo immortale ed a farne un corpo spirituale celeste.[49]

(Stella di Pitagora)
Notiamo che nella favola egiziana, Horo non ammazza il suo nemico,
ma “s’impossessa della sua energia e della sua forza”[50].
In altre parole, se ne nutre.
Crediamo di trovare
un’allusione a questa materia in un trattato d’Eckhartshausen.
L’autore vi sviluppa la nozione di peccato:
Nel nostro sangue, c’è una
materia vischiosa (chiamata gluten) nascosta, che è più imparentata
all’animalità che allo spirito. Questo gluten è la materia del
peccato.[51]
Per causa della caduta, una materia
trattiene prigioniero il dio che ci abita. Invece di nutrirlo, ne
vive, se ne pasce, come il mostro Pitone che, prima l’intervento
d’Apollo, “divorava uomini e greggi”. Questo terribile tiranno
tuttavia, trafitto dai raggi del dio solare, ne diventa
l’inevitabile socio. Sono, infatti, i vapori che si alzano dal suo
cadavere che permettono la manifestazione della parola profetica:[52]
I Filosofi hanno insegnato che
l’asino-Tifone era necessario all’opera che cova in segreto. Senza
di lui, infatti, l’oro vivo non potrebbe alloggiare né cuocersi in
questo basso mondo.[53]
I vapori che si alzano dal cadavere di Pitone ci fanno pensare alla
circolazione della materia nel vaso alchemico. Fabre
du Bosquet, che identifica Tifone al
flogistico, scrive:
L’aria pura essendo più pesante
dell’aria dell’atmosfera, circola dall’alto al basso e risale
soltanto quando è flogisticata, cioè quando è caricata di vapori.[54]
Questi costringono il fuoco centrale a salire con loro. Gli servono
di veicolo:
Il flogistico – leggiamo più
avanti – è per il fuoco centrale ciò che è l’aria per il fuoco
celeste ; l’uno e l’altro sono soltanto agenti, i veicoli delle due
sostanze vivifiche.[55]
Nello stesso modo, Filalete scrive:
Gli elementi possono incontrare
lo sperma soltanto in un vapore […] questo vapore era il veicolo che
ha fatto salire la terra pura virginale affinché si sposi con il
sole e la luna. Ed adesso lo fa ridiscendere nelle sue viscere,
impregnate dal latte di uno e dal sangue dell’altro, cioè l’aria ed
il fuoco, i quali principi sono predominanti in questi due luminari
superiori.[56]
Maier riporta che Pitone si chiamava prima Tifone e cambiò di nome,
quando diventò liquido per putrefazione.[57]
Si tratterebbe dunque di un fuoco liquido, il vaporoso
bagnomaria dei filosofi.
Oh fuoco fluente che dissolve e
che coagula, nostro Signore fecondante![58]
E. d’Hooghvorst sembra riassumere quest’operazione, quando scrive:
Dopo un certo tempo, questi due
fuochi che sono dunque uno, diventano probabilmente acqua ed è
questa, suppongo, la putrefazione.[59]
Il fumoso Tifone, si potrebbe dire, quando è fissato dai tratti del
dio solare[60],
diventa il liquido Pitone, « quest’acqua fetida che marcisce »,
scrive Maier:[61]
[…] a partire delle sostanze
volatili, si fa, per putrefazione della soluzione, un’essenza quinta
ferma e fissa che si chiama “serpente” visto che è penetrante e che
si liquefa. Questo serpente rende poi percettibili, per similitudine
di natura, questi stessi uccelli a partire dei quali si è
sviluppato.[62]
[…] è, infatti, a questa deità
impura che i saggi devono la conoscenza della loro materia prima,
che senza questa causa di condensazione rimarrebbe invisibile ed
impalpabile com’è nell’aria.[63]
La putrefazione è una tappa necessaria dell’Opera:
[…] perché come dice Remond, il
grossolano non si può mescolare con il semplice se non è fatto prima
semplice come il semplice. Ma per corruzione, le materie possono
essere preparate ed allora gli spiriti si mescoleranno molto
facilmente dopo la loro depurazione.[64]

La putrefazione è, infatti, una purificazione:
Così la raccolta delle parti di
Osiride intrapresa da Iside è la reiterazione della stessa opera,
che si svolge finché la virtù di Tifone sarà spenta e che l’anima di
Osiride sufficientemente ardente prenderà il suo posto, al punto di
convertire molto facilmente a se stesso sua madre Iside, cioè sua
moglie, cioè sua sorella amorosissima, ciò che è la perfezione
ultima.[65]
Vuol dire inoltre che allora
Iside ed Osiride, che sono i principi di ogni vita da cui Horo è
formato, sono spogliati dei principi di distruzione e di morte che
sono il Tifone, il Flogistico o i vapori della terra
che li aveva condensati.[66]
Questa
purificazione è anche simbolizzata, nel mito egiziano, dalla perdita
del membro di Osiride:
Il membro sessuale di Osiride è
questa feccia nera ed inutile proprio per mezzo della quale ottiene
il suo accrescimento all’inizio, ma che deve, dopo la dissoluzione,
essere separata dal resto del corpo che è pulito e puro.[67]
A Delfi, la collera del terribile dragone è placata grazie
all’intervento del dio solare. Il mostro, prima scuro e nocivo,
diventa così il servitore indispensabile alla manifestazione della
luminosa parola profetica.

Ascolta la mia preghiera, tu la cui
luce è tutta intelligenza, tutto amore ed onnipotenza di vita. Vieni
a me sul tuo raggio penetrante e risveglia la mia vita addormentata
nelle tenebre dell’esilio. Animami nuovamente e salvami dall’orrore
della morte, o meraviglioso Padre che prodighi il tuo santo seme
instancabilmente. […][68]
S. Ciapparelli
L. Cattiaux, op. cit., XIV 22’.
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