L’ORACOLO DI DELFI [1]

 a cura di S. Ciapparelli

 

 

I profeti ci hanno parlato della sostanza e dell’essenza di Dio, e noi spulciamo i loro testi per scoprirvi la storia, la morale, la poesia o la divinazione!
Oh stupida cecità degli intelligenti e dei sapienti!
Oh mediocrità soddisfatta dei credenti!
                      
              Louis CATTIAUX,  M+R XIX-1

 

 

 
 

            Gli antichi avevano l’abitudine di consultare i loro dei; numerosi oracoli disseminavano il suolo greco. Gli dei rispondevano tramite gli uccelli, il fuoco, il volo delle api oppure il fruscio del vento tra le foglie di una quercia. A Delfi, il dio solare Apollo per esprimersi aveva scelto la voce umana: una giovane vergine, la Pizia, saliva sul treppiede profetico per riferire i divini oracoli.

 

            Situato nel cuore della Grecia, il piccolo paese di Delfi accoglieva il santuario più famoso del mondo antico. Si è d’accordo a situarne l’inizio nell’ottavo secolo[2] e l’apogeo nell’anno 500 a.C. L’interdizione del paganesimo e la chiusura dei tempi da Teodosio[3], nel 381 della nostra era, misero definitivamente fine all’attività del santuario.

 

            Leggiamo ne’ Il Messaggio Ritrovato di Louis CATTIAUX:

 

Vorremmo non scandalizzare i credenti oltrepassando le immagini, le persone ed i riti che nascondono il mistero della rigenerazione dell’umanità e della creazione smarrite.[4]

 

            Siamo, infatti, convinti che:

 

Gli antichi Filosofi nascondevano sotto la finzione di storie poetiche e divertenti, i segreti più profondi del loro sapere. Insegnavano senza profanare e trasmettevano così sotto una forma mitologica, alla folla degli avari e degli ignoranti, la memoria della loro tradizione.[5]

 

            Alcuni saggi stabilirono anche dei riti per sostenere la fede dei credenti e guidare i ricercatori verso la scienza divina.[6] Fu questo, secondo noi, il caso di Delfi, dove l’oracolo rimase attivo durante più di dodici secoli.

 

            Siamo coscienti che il senso ultimo della santa mitologia[7] sia riservato a quelli che avanzeranno in questo dedalo alla luce del prezioso filo ricevuto dall’Alto. Perciò desideriamo appellarci alla benevolenza tanto del lettore quanto dei saggi i cui estratti citiamo affinché perdonino la goffaggine del nostro studio.

 

            Proponiamo al lettore una riflessione sulla funzione della Pizia, prima di esaminare, in una seconda parte, l’ambiguità del ruolo del dragone pizio.

 

 


 

LA PIZIA O L’UNIONE DELL’ANIMA E DELLO SPIRITO

 

 

Honneur des Hommes, saint LANGAGE,

Discours prophétique et paré,

Belles chaînes en qui s’engage

Le dieu dans la chair égarée,

Illumination, largesse !

Voici parler une Sagesse

Et sonner cette auguste Voix

Qui se connaît quand elle sonne

N’être la voix de personne

Tant que des ondes et des bois !

Paul Valéry[8]

 

 

            Il pensiero divino, per esprimersi, ha bisogno di prendere corpo. Perciò, Plutarco[9] scrive :

 

Il dio di qua si deve servire della Pizia per fare pervenire il suo pensiero alle nostre orecchie nello stesso modo che la luce del sole si deve riflettere sulla luna per raggiungere i nostri occhi.[10]

 

            È più precisamente dello spirito della Pizia, della sua psiche, ciò di cui si serve il dio1 :

 

Lo spirito (psiche) dispone del corpo […], ma in cambio serve da strumento al dio.[11]

 

            Lo spirito dell’uomo funge da intermediario tra il suo corpo e la sua anima:

 

Senza questo corpo spirituale che si trova tra loro due e che avvolge l’anima, questa non sarebbe mai riuscita ad unirsi né ad attaccarsi al corpo materiale a causa della loro diversità e del contrasto tra i loro principi.[12]

 

            Della stessa natura dello spirito universale, egli fu creato all’origine per servire l’anima, ma, per colpa della caduta, si è avvicinato infinitamente di più alla materia. Per il suo tramite, “l’uomo è reso soggetto all’influenza degli astri[13], ai quali questo spirito deve la sua origine.
 


 

            Secondo la credenza, Apollo feconda la Pizia tramite vapori che si alzano dalla terra. Questi hanno per origine il cadavere in putrefazione del mostro Pitone.

 

            Il mito più diffuso riporta che la prima maestra dell’oracolo fu la Terra. Pitone, mostro nato dal suo seno[14], ne era il custode. Ma questi propagava anche il terrore, insudiciando le sorgenti, spaventando le ninfe e divorando uomini e greggi. Quando Apollo si impossessò dell’oracolo, uccise Pitone e lo seppellì sotto il treppiede profetico.

 

            Si considerava l’oracolo come il frutto di una vera fecondazione. I vapori non si alzano da sotto la sedia pitica? Leggiamo a tal proposito da Origene:

 

Si racconta a proposito della Pizia, il cui oracolo sembra oltrepassare gli altri in luminosità, che la profetessa di Apollo, seduta vicino alla crepa di Castalia, riceve tramite gli organi femminili un soffio che la riempie e sotto il cui effetto declama ciò che si considera essere oracoli rispettabili e divini [...][15] 

 

            Lo spirito della Pizia si trova così veramente fecondato dal soffio divino; questo cerca, infatti, una sostanza alla quale unirsi e dare forma:

 

Nel seme dell’uomo è nascosto un germe che consolida la sostanza della donna. Così la coscienza di Dio è come un punto che coagula l’Universo e che gli dona la forma.[16]

 

            L’unione di un dio con una mortale è il fondamento dell’oracolo delfico. Quest’unione non ci sembra senza relazione con questo passaggio di Filalete:

 

L’anima dell’uomo consiste principalmente in due parti, Ruash e Nefesh, un’inferiore, l’altra superiore, quella superiore essendo maschile ed eterna, e l’inferiore, femminile e mortale. In queste due consiste la nostra generazione spirituale. Arius Montanus dice: “Dagli altri esseri viventi ed anche dall’uomo stesso, la congiunzione del maschio e della femmina ha come scopo la fruttificazione e la propagazione che conviene alla natura degli individui.

Nello stesso modo, le è paragonata, in seno all’uomo stesso, questa unione intima e segreta fra il maschio e la femmina, cioè dello spirito e dell’anima (animus e anima) in vista di produrre il frutto proprio della vita divina […]” [17]

 

      Leggiamo nel Il Messaggio Ritrovato :

 

Sforziamoci di essere come Dio che unisce in sé

fruttuosamente i contrari di stessa natura. […][18]

 

            E da Ermete Trismegisto:

 

La vita è l’unione dell’anima (nous) e dello spirito (psiche).[19]

 

 

            Il frutto di questa unione è la parola del dio profeta, il logos platonico, definito come la misura di tutte le cose.[20]

 

La parola è un corpo – commentò un giorno E. d’Hooghvorst – poiché può essere afferrata dal senso dell’ udito, ma è il corpo più sottile che vi sia.

 

            Questa parola la possediamo dentro di noi, ma allo stato di cadavere, viziata dal peccato. Purificata, essa dà la sua misura al pensiero divino che, senza di lei, sogna se stesso senza conoscersi:

 

Dare misura al senza-limite, è l’Arte sotto tutte le sue forme. Per esempio, la parola dà misura e forma al pensiero… come la pura misura del sogno divino dell’oro che vola, si fissa in un corpo ammirevole e risplendente.[21]

 

            Plutarcoriferisce una credenza che illustra l’aspetto generatore della parola:

 

Molti credono e dicono ancora che la donnola concepisce tramite l’orecchio e partorisce per la bocca, illustrando così la generazione del logos.[22]

 

I misteri del verbo sono sessuali – leggiamo anche nel Le Fil de Pénélope.[23]

 

            Ritroviamo un’allusione a questi misteri nel famoso omphalos. Questo sasso conico, collocato accanto al treppiede, indica, secondo la leggenda, il centro del mondo. Due aquile, lasciate da Zeus alle estremità del mondo, si sarebbero, infatti, incontrate a Delfi esattamente sopra il posto dell’omphalos. Questa parola greca si traduce con ‘ombelico’, ma troviamo anche omphè, ‘parola’. Un’altra etimologia avvicina omphalos a empnein, ‘respirare’, “perché è tramite lui che l’embrione respira”, ed a phallos, ‘il fallo’,  “perché gli assomiglia : è infatti prominente alla nascita prima che il cordone sia tagliato”.[24]

 

            La Pizia rappresenterebbe dunque la materia che, purificata, permetterebbe l’incarnazione e la manifestazione dello spirito divino. È interessante notare che l’aspetto del frutto di questa unione dipende delle particolarità di questa materia. In uno dei suoi trattati, Plutarco ed i suoi interlocutori si chiedono, infatti, come Apollo, il dio poeta per eccellenza, può ispirare oracoli di un valore letterario talvolta molto mediocre. Questa diversa qualità è dovuta al carattere proprio della Pizia.[25]

 

Anche se il dono è unico, ogni profeta – commentò E. d’Hooghvorst – è di un vigneto diverso.

 

            Questo impone agli innamorati della Santa Scienza un’attenzione libera di ogni pregiudizio, che tiene conto più del peso che dell’apparenza :

 

Cristo è unico in Dio, certamente, ma le sue forme sono molteplici nella creazione. Così noi lo riconosceremo, anzitutto dall’opera e dal peso, poi dalla parola ; ma mai dall’apparenza.[26]

 

            Infine, ritroviamo un’idea simile nell’opera alchymica; la diversità delle sue produzioni non dipende, infatti, dal seme, questo essendo unico, ma dalle qualità della materia che lo riceve:

 

Alcuni pensano che il saturno ha un seme, che l’oro ne ha un altro, e così ogni metallo, ma quest’opinione è vana, perché c’è soltanto una seme unico,  sia nel saturno che nell’oro, nell’argento e nel ferro: ma il luogo della loro nascita è stato la causa della loro differenza.[27]

 

 

(I misteri di Eleusi)

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PITONE O IL DOLCE FUOCO DELLA PUTREFAZIONE

 

Con la sua zampa dallo zoccolo di corno, un asino morto mi ha colpito l’orecchio. [28]

 

 

Il sommo sacerdote di Delfi, Plutarco, in uno dei suoi trattati, chiama il mostro « che tenne Delfi e sconvolse l’oracolo con la sua brutalità» non Pitone ma Tifone.[29] Fabre du Bosquet precisa che:

 

Apollo secondo i Filosofi non era altri che Horo; perciò hanno fatto uccidere Tifone dal primo e Pitone dal secondo; sono l’anagramma uno dell’altro.[30]

 

Tifone, chiamato anche Set, è nella tradizione egiziana il fratello nemico di Osiride. È spesso rappresentato sotto forma di un asino rosso.[31] Fu lui che per astuzia chiuse Osiride in un sarcofago e lo buttò nel Nilo. Ma Iside, sorella e sposa del dio, ritrovò il suo beneamato e lo risuscitò con le sue lacrime. Una seconda volta, Tifone riuscì a catturare suo fratello ; lo smembrò in quattordici pezzi che disperse attraverso il paese. Un nuovo intervento di Iside permise la ricomposizione quasi integra del dio : il membro divino rimase, infatti, introvabile. Horo, il figlio d’Iside e d’Osiride, vendicò suo padre castrando il mostro.

 

Osiride, chiuso nel sarcofago, rappresenta il Verbo[32] che“volendo misurare questo mondo sublunare, vi fu precipitato in seguito ad un suggerimento del suo nemico”.[33] Prigioniera in una materia grossolana[34], manca a quest’anima moribonda la grazia della volatile Iside per ritornare alla vita.

 

Una curiosa versione del mito delfico, riportata da Porfirio[35], ci permette un altro avvicinamento tra il mostro egiziano e quello greco. Secondo lui Pitagora “scrisse versi elegiaci sulla tomba di Apollo, mostrando che Apollo era figlio di Silene, che fu ucciso da Pitone e conservato da lui dentro ciò che si chiama treppiede”. Strana inversione della tradizione per cui  il dio solare, vinto, è trattenuto prigioniero dal suo nemico.

 

Ma cosa rappresentano i nostri mostri? E. d’Hooghvorst scrive:   

 

L’asino, Set, rappresenta la natura di questo mondo. Noteremo che da nature si può trarre per anagramma, âne-rut[36], l’asino essendo del resto conosciuto per la potenza delle sue parti genitali.[37]

 

Il mito delfico riferisce che Pitone fu trafitto dalle frecce di Apollo ai piedi del Parnaso. Maier è più preciso:

 

Questo dragone, leggiamo, è trucidato alle radici del monte Parnaso, perché è dal Parnaso che il nostro Apollo è provenuto ed è sulla sua cima che abita con le sue sorelle le Muse. Così vince il serpente nelle sue radici, grazie alle sue frecce.[38]

 

Ci chiediamo se queste radici non sono un’allusione all’osso sacro; questo “luogo basso” è, infatti, la sede della nostra energia animale, la radice del nostro sesso. Maier scrive a proposito di questo:

 

Si nota che il capro designa la stessa cosa che Tifone, Priapo, il fallo, i satiri ed i Titani, visto che questo animale è incline alla libido […] Per ciò, è considerato il membro generatore che è stato tolto a Osiride, o a suo padre Saturno o a suo nonno il Cielo.[39]

 

E più avanti:

 

[…] con tutti questi mostri, si intende qualcosa di vile e di disprezzato dal volgo, che possiede la natura delle bestie selvatiche e dei serpenti, che può però, se è trattato bene, essere trasformato in una cosa preziosissima.[40]

 

Fabre du Bosquet “distingue nella natura tre tipi di fuochi: il celeste, il fuoco centrale o l’archè e il fuoco elementare”. I due primi sono della stessa natura e destinati ad unirsi.

 

Il terzo o l’elementare, quando è eccitato, è distruttivo e di una voracità incredibile. Ferisce i sensi, brucia, è nell’animale ciò che si chiama sostanza flogistica e che i medici chiamano il loro calore febbrile. Divide e consuma l’umore radicale della sua vita.[41]

 

Ed oltre:

 

Sono l’Osiride ed il Tifone mitologici, uno è un fuoco primitivo, umido, vitale che dal carattere che gli ha impresso l’essere supremo, può produrre soltanto la perfezione e la conservazione di tutti i misti sublunari, l’altro non deve e non può essere che un flogistico universale, che essendo destinato ad essere la pastura del primo dovrebbe trovarsi nell’aria, come dentro tutti i corpi dove risiede, solo e soltanto per mantenere la sua promessa e non per soggiogare il suo maestro. [42]
 

     

(il carro di Elia)

 

Troviamo di questo fuoco un’altra descrizione nel Le Mystère de la Croix:

 

Non c’è nessuno al mondo tanto perverso e tanto corrotto, che non abbia sentito numerose volte questo tiranno, questa Calamita, questo fondo senza riva, questo dragone di fuoco, che senza la luce divina è un diavoletto, che per sua natura è indistruttibile.[43]

 

Ma l’autore continua e si unisce così a Maier citato sopra:

 

Perchè è il fuoco, che non si spegne mai, ma che può essere rinfrescato e cambiato in un fuoco luminoso dolce e amabile, com’è la natura degli angeli.[44]

 

Leggiamo nel Il Messaggio Ritrovato :

 

Il fuoco di Dio edifica la vita. Quello degli uomini la consuma. Tuttavia la dolcezza del secondo può manifestare la virtù del primo.[45]

 

Charles d’Hooghvorst scrive a questo proposito:

 

Questo fuoco nero che consumava poco a poco l’uomo decaduto sarà lavato ed addolcito dal fuoco bianco d’Iside la celeste.[46]

 

Emmanuel d’Hooghvorst, in una lettera a suo fratello Charles, cita questo passaggio interessante:

 

La lingua del serpente è il fuoco della collera e il seme della donna, il fuoco luminoso dell’amore. Questi due sono in ogni cosa. Il primo, a causa della caduta, ha predominato nella natura esterna ed il secondo deve dunque essere rianimato per brillare di nuovo attraverso la collera, subordinarsela, mantenerla sotto la sua dipendenza e finalmente, toglierle il suo potere predominante, affinché possa compiere il suo ufficio naturale, vero, di servitore della luce. In una parola, i due fuochi non devono opporsi uno all’altro, ma devono essere una cosa sola riarmonizzata dalla luce e dall’amore e reintrodotti nel Paradiso. Quando il velenoso Mercurio nero è così tinto, la sua angoscia mortale si trasforma in vita trionfante ed il suo vecchio desiderio scuro in un desiderio brillante di amore, il quale è capace di fare un puro amore ed una luce sostanziale, cioè di fare di un corpo terrestre, un corpo celeste.[47]

 

Questo fuoco doppio che i Pitagorici rappresentano con la lettera cornuta Y[48], serve di alimento all’opera alchymica:

 

L’aprirono (il caos), lo purificarono, unirono ciò che avevano prima separato, e l’alimentarono con un fuoco doppio, denso e tenue, fino a portarlo all’estremo immortale ed a farne un corpo spirituale celeste.[49]

 


(Stella di Pitagora)

 

Notiamo che nella favola egiziana, Horo non ammazza il suo nemico, ma “s’impossessa della sua energia e della sua forza”[50]. In altre parole, se ne nutre.

 

Crediamo di trovare un’allusione a questa materia in un trattato d’Eckhartshausen. L’autore vi sviluppa la nozione di peccato:

 

Nel nostro sangue, c’è una materia vischiosa (chiamata gluten) nascosta, che è più imparentata all’animalità che allo spirito. Questo gluten è la materia del peccato.[51] 

 

 Per causa della caduta, una materia trattiene prigioniero il dio che ci abita. Invece di nutrirlo, ne vive, se ne pasce, come il mostro Pitone che, prima l’intervento d’Apollo, “divorava uomini e greggi”. Questo terribile tiranno tuttavia, trafitto dai raggi del dio solare, ne diventa l’inevitabile socio. Sono, infatti, i vapori che si alzano dal suo cadavere che permettono la manifestazione della parola profetica:[52]

 

I Filosofi hanno insegnato che l’asino-Tifone era necessario all’opera che cova in segreto. Senza di lui, infatti, l’oro vivo non potrebbe alloggiare né cuocersi in questo basso mondo.[53]

 

I vapori che si alzano dal cadavere di Pitone ci fanno pensare alla circolazione della materia nel vaso alchemico. Fabre du Bosquet, che identifica Tifone al flogistico, scrive:

 

L’aria pura essendo più pesante dell’aria dell’atmosfera, circola dall’alto al basso e risale soltanto quando è flogisticata, cioè quando è caricata di vapori.[54]

 

Questi costringono il fuoco centrale a salire con loro. Gli servono di veicolo:

 

Il flogistico – leggiamo più avanti – è per il fuoco centrale ciò che è l’aria per il fuoco celeste ; l’uno e l’altro sono soltanto agenti, i veicoli delle due sostanze vivifiche.[55]

 

Nello stesso modo, Filalete scrive:

 

Gli elementi possono incontrare lo sperma soltanto in un vapore […] questo vapore era il veicolo che ha fatto salire la terra pura virginale affinché si sposi con il sole e la luna. Ed adesso lo fa ridiscendere nelle sue viscere, impregnate dal latte di uno e dal sangue dell’altro, cioè l’aria ed il fuoco, i quali principi sono predominanti in questi due luminari superiori.[56]

 

Maier riporta che Pitone si chiamava prima Tifone e cambiò di nome, quando diventò liquido per putrefazione.[57] Si tratterebbe dunque di un fuoco liquido, il vaporoso bagnomaria dei filosofi.

 

Oh fuoco fluente che dissolve e che coagula, nostro Signore fecondante![58]

 

E. d’Hooghvorst sembra riassumere quest’operazione, quando scrive:

 

Dopo un certo tempo, questi due fuochi che sono dunque uno, diventano probabilmente acqua ed è questa, suppongo, la putrefazione.[59]

 

Il fumoso Tifone, si potrebbe dire, quando è fissato dai tratti del dio solare[60], diventa il liquido Pitone, « quest’acqua fetida che marcisce », scrive Maier:[61]

 

[…] a partire delle sostanze volatili, si fa, per putrefazione della soluzione, un’essenza quinta ferma e fissa che si chiama “serpente” visto che è penetrante e che si liquefa. Questo serpente rende poi percettibili, per similitudine di natura, questi stessi uccelli a partire dei quali si è sviluppato.[62]

 

[…] è, infatti, a questa deità impura che i saggi devono la conoscenza della loro materia prima, che senza questa causa di condensazione rimarrebbe invisibile ed impalpabile com’è nell’aria.[63]

 

La putrefazione è una tappa necessaria dell’Opera:

 

[…] perché come dice Remond, il grossolano non si può mescolare con il semplice se non è fatto prima semplice come il semplice. Ma per corruzione, le materie possono essere preparate ed allora gli spiriti si mescoleranno molto facilmente dopo la loro depurazione.[64]
 

 
 

La putrefazione è, infatti, una purificazione:

 

Così la raccolta delle parti di Osiride intrapresa da Iside è la reiterazione della stessa opera, che si svolge finché la virtù di Tifone sarà spenta e che l’anima di Osiride sufficientemente ardente prenderà il suo posto, al punto di convertire molto facilmente a se stesso sua madre Iside, cioè sua moglie, cioè sua sorella amorosissima, ciò che è la perfezione ultima.[65]

 

Vuol dire inoltre che allora Iside ed Osiride, che sono i principi di ogni vita da cui Horo è formato, sono spogliati dei principi di distruzione e di morte che sono il Tifone, il Flogistico o i vapori della terra che li aveva condensati.[66]

 

Questa purificazione è anche simbolizzata, nel mito egiziano, dalla perdita del membro di Osiride:

 

Il membro sessuale di Osiride è questa feccia nera ed inutile proprio per mezzo della quale ottiene il suo accrescimento all’inizio, ma che deve, dopo la dissoluzione, essere separata dal resto del corpo che è pulito e puro.[67]

 

A Delfi, la collera del terribile dragone è placata grazie all’intervento del dio solare. Il mostro, prima scuro e nocivo, diventa così il servitore indispensabile alla manifestazione della luminosa parola profetica.

 

Ascolta la mia preghiera, tu la cui luce è tutta intelligenza, tutto amore ed onnipotenza di vita. Vieni a me sul tuo raggio penetrante e risveglia la mia vita addormentata nelle tenebre dell’esilio. Animami nuovamente e salvami dall’orrore della morte, o meraviglioso Padre che prodighi il tuo santo seme instancabilmente. […][68]

 

S. Ciapparelli

 


 

[1] Si ringrazia Enrico Catalucci per la correzione del testo italiano.

[2] Tuttavia sono state ritrovate tracce di vita religiosa risalenti a circa 1400 prima la nostra era.

[3] Imperatore dal 379 al 395 a.C.

[4] L. Cattiaux, Il Messaggio Ritrovato, XXV 52’, Mediterranee, Roma, 2002.

[5] E. d’Hooghvorst, Le Roi Midas, in Le Fil d’Ariane, Walhain-Saint-Paul (Belgio), 1996, n° 59-60, p. 8. Vedere anche Plutarco, Iside ed Osiride, 9: “[il re] era iniziato a questa filosofia dove tante cose erano nascoste sotto formule e miti che avvolgevano in un’apparenza oscura la verità pur manifestandola per trasparenza”. Ed ancora, Pierre Vicot, Le Mémorial d’Alchimie, XVII, in E. d’Hooghvorst, Le Fil de Pénélope, La Table d’Émeraude, Parigi, 1998, tomo II, p. 55: “Ma i Filosofi per nascondere la loro scienza si sono serviti di diversi nomi per sedurre gli ignoranti, parlando tramite similitudini di animali e vegetali e altre diverse materie e diverse ricette e tramite allegorie com’è detto nelle favole d’Olimpo dietro le quali parabole la scienza è ripetuta parecchie volte per chi la intende bene.”

[6] Vedere L. Cattiaux, op. cit., XV 20: “La morale è una barriera e l’ascesi un parapetto. La legge è una diga ed i riti sono una guida. I sacramenti sono un memento, i simboli sono delle immagini parlanti ed i libri santi mostrano la via, ma la scienza di Dio annulla tutto perché oltrepassa tutto”. Vedere anche XXIV 43 e XXVI 20.

[7] Vedere E. d’Hooghvorst, op. cit., 1996, tomo I, p. 107.

[8] Ultima strofa di un poema chiamato La Pythie la cui traduzione sarebbe:

               

Onore degli uomini, santo LINGUAGGIO

                Discorso profetico ed ornato,

                Belle catene con cui s’infila

                Il dio nella carne smarrita,

                Illuminazione, larghezza!

                Ecco parlare una Saggezza

                E suonare quest’augusta Voce

                Che si riconosce, quando risuona

                Non essere la voce di nessuno

                Salvo delle onde e dei boschi!

               

[9] Plutarco fu sommo sacerdote di Apollo a Delfi. Visse dal 46 a circa il 126 d.C.

[10] Plutarco, De Pythiae Oraculis, 404 f.

[11] Ibidem, 404 b.

[12] Fabre du Bosquet, Concordance Mytho-Physico-Cabalo-Hermétique, Le Mercure Dauphinois, Grenoble, 2002, p. 71. Vedere anche Plutarco, De Facie, 945 d: “Lo spirito è cosa mista ed intermediaria a immagine della Luna, diventata per la Volontà divina una mescolanza, uno stemperamento dell’Alto e del Basso, e che occupa il mezzo tra il Sole e la Terra.”.

[13] Fabre du Bosquet, op. cit., p. 73.

[14] Dopo il diluvio, la Terra, riscaldata dal Sole, diede la luce a mostri di ogni genere. Vedere Ovidio, Metamorfosi, I, 416-417.

[15] Origene, Contro Celso, VII, 3.

[16] L. Cattiaux, op. cit., XVI 37. Vedere anche XII 30’: « […] poiché Dio è la coscienza della vita, e la vita è il corpo di Dio. ».

[17] Eugenio Filalete, L’Anthroposophie Magique in Œuvres Complètes, trad. C. Rosereau, La Table d’Émeraude, Parigi, 1999, p. 52.

[18] L. Cattiaux, op. cit., XIV 22’.

[19] Ermete Trismegisto, XI, 14.

[20] Vedere E. d’Hooghvorst, op. cit., tomo I, p. 298.

[21] E. d’Hooghvorst, op. cit., tomo I, p. 81. Vedere anche p. 245.

[22] Plutarco, Iside ed Osiride, 381 a.

[23] E. d’Hooghvorst, op. cit., tomo I, p. 86.

[24] Etymologicum Magnum 625, 39.

[25] Plutarco, De Pythiae Oraculis, 404 b – 405 d.

[26] L. Cattiaux, op. cit., XXXI 18’.

[27] Cosmopolite ou Nouvelle Lumière Chimyque, J. d’Houry, Parigi, 1669, p. 20.

[28] Plutarco, Il Banchetto dei Sette Saggi, 150 e. Enigma a proposito del flauto frigio così commentato “Può sorprendere il fatto che l’asino, tanto pesante e tanto lontano dalle Muse, fornisca un osso tanto leggero e tanto musicale.

[29] Plutarco, De Facie, 945 b.

[30] Fabre du Bosquet, op. cit., p.43.

[31] Vedere a proposito dell’asino Tifone, l’articolo d’E. d’ Hooghvorst, Sur l’âne philosophe in Le Fil de Pénélope, tomo I, pp. 297-302.

[32] Plutarco qualifica Osiride di logos ‘parola’ e di nous comunemente tradotto da ‘intelletto’ (Iside ed Osiride, 371 a).

[33] E. d’Hooghvorst, op. cit., tomo I, p. 298.

[34]Gli Orfici non definiscono il corpo (sôma) come la tomba (sêma) dell’anima ? Vedere a questo proposito Platone, Cratilo, 400 c e Gorgia, 493 a.

[35] Porfirio, Vita di Pitagora, 16.

[36] Letteralmente asino-fregola.

[37] E. d’Hooghvorst, op. cit., tomo I, p. 298.

[38] M.  Maier, Les Arcanes très Secrets, trad. S. Feye, Beya, Grez-Doiceau (Belgio), 2005, p. 291.

[39] Ibidem, p. 66.

[40] Ibidem, p. 346.

[41] Fabre du Bosquet, op. cit., p. 108.

[42] Ibidem, p. 109.

[43] Douzetemps, Le Mystère de la Croix, Archè, Milano, 1975, p. 78.

[44] Ibidem, p. 78.

[45] L. Cattiaux, op. cit., VIII 54’.

[46] Charles d’Hooghvorst, La Voie du Livre, in Croire l’Incroyable, R. Arola (ed.), Beya, volume 6, Belgio, 2006, p. 230.

[47] Lettera datata dal 14/12/56. E. d’Hooghvorst attribuisce questo passaggio a D.A. Freger che non siamo riusciti ad identificare.

[48] Questa lettera si è mantenuta in francese nei nomi Python e Typhon. Viene dall’ipsilon greco. E. d’Hooghvorst ne rileva il carattere ambiguo nel Le Fil de Pénélope, tomo I, pp. 117-118.

[49] Eugenio Filalete, Traité du Ciel Terrestre in op. cit., p. 250.

[50] Plutarco, Iside ed Osiride, 55.

[51] D’Eckhartshausen, La Nuée sur le Sanctuaire, Psyché, Parigi, 1965, pp. 125-126.

[52] Ricordiamoci che gli indovini specializzati in ventriloquio portavano il nome di Pitone. Da notare anche il passaggio degli Atti degli Apostoli (16, 16) dentro del quale è fatto menzione di una ragazza che possedeva lo spirito di Pitone, in latino nella versione della Vulgata “puellam quandam habentem spiritum pythonem”.

[53] E. d’Hooghvorst, op. cit., tomo I, p. 194.

[54] Fabre du Bosquet, op. cit., p. 23.

[55] Ibidem, p. 114.

[56] Eugenio Filalete, L’Euphrate in op. cit., p. 498-499.

[57] Maier, op. cit., pp. 287-288. Tifone viene dal verbo greco typhein, ‘fare fumare’ e Pitone da pythein, ‘putrefare’.

[58] Louis Cattiaux, op.  cit., VIII 46’.

[59] Estratto di una lettera di E. d’ Hooghvorst a L. Cattiaux citata nel Le Miroir d’Isis, Belgio, 2005, n° 7, p. 69.

[60] M. Maier, op. cit., pp. 394-395.

[61] Ibidem, p. 291.

[62] Ibidem, pp. 181-182.

[63] Fabre du Bosquet, op. cit., p. 41.

[64] Pierre Vicot, Le Mémorial d’Alchimie, X, in E. d’Hooghvorst, op. cit., tomo II, p. 53.

[65] M. Maier, op. cit., pp. 33-34.

[66] Fabre du Bosquet, op. cit., p. 41.

[67] M. Maier, op. cit., p. 35.

[68] Louis Cattiaux, op. cit., XXVIII 16’.

 
 
 
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