Introduzione
Anche
quelli che studiano l’Alchymia ci mettono talvolta diversi anni a
rendersi conto della pletorica quantità di trattati (senza contare i
manoscritti) di cui la famosa Pietra Filosofale ha suscitato la
pubblicazione. Vero è che, dall’esposizione “l’Alchimie” organizzata
dal “Credit Communal de Belgique” organizzata a Bruxelles nel 1984 e
la pubblicazione in quell’occasione del notevole catalogo di J. Van
Lennep, l’abbondanza sia bibliografica che iconografica
dell’insegnamento alchemico non può più essere negata. Vorrebbe ciò
significare che la sublime Pietra dei Filosofi sia meglio conosciuta
nella sua realtà?
Malgrado
tante testimonianze, molti mistici o masse di mediocri negano la sua
materialità, optando per teorie disincarnate o sapienti che non
colmano alcun senso e non guariscono nessuno. Altri, al contrario,
credono a questa Pietra, ma la desiderano “spessa” e sono finalmente
frustrati dal suo possesso dalla loro propria avarizia.
Non
faremo qui riferimento alcuno a quanti hanno decretato una volta per
tutte la sua non possibilità. È bene rispettare l’atto di fede ed i
dogmi di ciascuno.
Solo
alcuni rari (rari nantes, direbbe Virgilio) che amano Dio ed il
loro prossimo la assaporano in silenzio, ringraziando la Divinità di
questo Dono concesso che così magnificamente li colma.
Esistono
anche alcuni onesti ricercatori che, anche se studiano i testi e la
chiedono nelle loro preghiere, non la conoscono ancora. Non farà certo
loro male imparare almeno ciò che essa non è, per essere così liberati
dalle trappole che hanno teso i Filosofi a tutti gli indegni.
È a
questi (tra cui speriamo essere contati!) che intendiamo rendere
servizio offrendo la nostra traduzione dei due primi capitoli di un
trattato redatto in latino e pubblicato per la prima volta a Basilea
nel 1571. Possediamo una fotocopia di questa editio princeps
che abbiamo consultato qualche anno fa alla Biblioteca Municipale di
Grenoble. È di questa edizione che ci siamo serviti, visto che
Ferguson
la segnalava come rara, pur avvalendoci contemporaneamente di
quella del Theatrum chemicum,
a causa di qualche errore o omissione qui corretti o colmati.
L’opera,
dedicata a Ottone Enrico, Principe Palatino, contiene tre trattati tra
cui quello di Ortolano chiamato Garlandus.
Il nostro si estende dall’inizio fino alla pagina 200 ove si trova, in
italiano stavolta, un curioso Enigma della Pietra fisica redatto
dall’autore stesso, un veneziano dal denominato Lorenzo Ventura, di
cui pare non si sappia nulla.
Infine, non resistiamo al piacere di dare una traduzione della pagina
ultima (p. 203) nuovamente redatta in latino:
L’alchimia che parla di se stessa.
Sono io ad essere il lampo celeste della saggezza angelica, la
virtù del guerriero, il termine della macchina del mondo, l’opera
della gloria regale, più eccellente di tutte le scienze di questo
mondo, spiraglio segreto di Dio, sorella della filosofia, grazia dei
Re, forza dei Signori, sudore dei Profeti, gelosia dei filosofi,
tesoro incomparabile, specchio di allegria, fuga dalla tristezza,
madre delle virtù, pianta dei piedi della natura umana. Che siano
dunque ricacciati quelli che devono essere ricacciati e che i giusti
siano giustificati verso il meglio. Che la mia voce, allegria
salutare, non sia intesa che nelle tende dei giusti. Siano espulsi
dunque, il malvagi peccatori, i lascivi, gli avari, ed i prodighi,
per timore che rigurgitanti di piaceri grazie a questi segreti dei
segreti, essi non commettano eccessi per perpetrare le peggiori
infamie.
Regnante io regnerò, ed il mio regno non avrà fine per tutti quelli
che vengono a me e che mi ricevono sanamente, ingegnosamente e con
costanza.
Sia deciso di scartare il Profano lungi da qui.
Questo dono di Dio, scintillante, nessuno può possedere se non
purifica il suo spirito di fronte al Grandissimo Dio lui stesso. Cioè
con spirito e cuore puri e totalmente semplici.
Digne ne fut d’être en table
du dieu
Et n’eut au lit de la déesse lieu.
Virgilio Tradotto
da Rabeleis
Testo tradotto e
presentato da Stéphane Feye
LORENZO VENTURA
di
Venezia, docteur ès Arts et Médecine
Metodo per confezionare la pietra filosofica
Libro Uno
Ad
Ottone Enrico
Principe Palatino
________
con
privilegio di Sua Maestà l’Imperatore
Basilea, 1571
CHE L’ARTE D’ALCHYMIA È VERA
Capitolo I
Numerosi sono quanti
pensano che l’arte d’Alchymia non sia un’arte vera. La loro opinione è
fondata su due argomenti. Primariamente, perché Aristotele dice al
libro IV delle Meteorologiche:
“Che gli artigiani dell’alchimia sappiano che non si possono
trasmutare le specie dei metalli”. Secondariamente, perché tutti
quelli che lavorano a questa arte non li vedono fare altro che
trasmutazioni sofisticate. Non vedono nessuno farne di autentiche. Da
cui essi stimano e credono che ciò che non vedono fare da nessuno non
può effettivamente neppure essere fatto da nessuno.
Tuttavia, nessuno di questi due argomenti fondamentali obbliga questa
arte preziosissima ed eccellentissima ad essere [dichiarata] falsa. Il
primo argomento di questo contraddittorio in effetti non è
sostenibile. Poiché è certamente vero, come dicono i filosofi
Alphidius ed il gran Rosario, che non sono le specie delle cosa che
sono trasmutate, ma gli individui di alcune specie che possono
trasmutarsi gli uni negli altri. E ciò risulta evidente all’occhio
soprattutto in quelli che hanno una corrispondenza tra di loro
rispetto ad una o due qualità, come si verifica per gli elementi. Così
la terra produce la pietra, il legno si fa cenere, e dalle pietre si
fa il vetro etc. Nello stesso modo ciò accade nei metalli, perché
tutti i metalli hanno in comune una sola materia che è un argento vivo
con il suo zolfo. Ed è solo a causa di una maggiore o minore
digestione che differiscono i metalli; questa si fa con la maturazione
del loro zolfo per mezzo di una decozione. Poiché è lo zolfo che è la
forma dei metalli, e dell’oro principalmente; non, certamente, lo
zolfo del volgare, ma ben “alterato” come dice il filosofo Bonus.
Da tali affermazioni si può concludere che se, per mezzo dell’arte,
può confezionarsi una medicina che possieda in se stessa la virtù e la
proprietà del citato zolfo minerale alterato, un tale medicina fatta
per mezzo dell’arte potrà trasformare i metalli imperfetti e l’argento
vivo nella natura di quelli che sono perfetti. Ecco perché Iohannes
Scott
e molti altri filosofi dicono e concedono che è vero che i metalli non
possono essere trasmutati in un qualche modo o ingegnosità se non sono
prima ricondotti alla loro prima materia.
Orbene, la prima materia di tutti i metalli è un argento vivo ed uno
zolfo, non nella loro propria natura, ma certamente alterata, ovvero
convertita in vapore. Così dunque , la prima materia dei metalli è un
vapore umido untuoso contenente in se stesso la natura di ciascuno dei
due: del suo zolfo ed argento vivo. Ne deriva necessariamente che se
per mezzo dell’arte si può estrarre così il vapore untuoso delle cose
in cui esso si trova, e che lo si trovi simile a quello che, nelle
miniere della terra, genera i metalli, si potrà confezionare una
medicina che, proiettata sui semplici corpi imperfetti e sull’argento
vivo, li conduca ad un vero corpo metallico la cui perfezione è spinta
più lontano di quella di qualsiasi corpo naturale.
Occorre tuttavia sapere che tale medicina si estrae da alcune cose più
facilmente e più abbondantemente, mentre [invece] da altre più
difficilmente e più imperfettamente, sia che si tratti degli stessi
metalli o di qualche altra cosa. Ma ciò può farsi che se le cose non
sono dapprima corrotte mediante putrefazione e che, con una dovuta
decozione e lunga digestione, esse acquisiscano un’altra forma più
nobile.
Quanto al secondo fondamento che si vuole opporre come argomento,
questo non è affatto limitante, ed il nostro ragionamento è quello che
Geber da nella sua “Somma della grande perfezione” al capitolo
XI, ove tratta della confutazione degli argomenti di quanti negano
semplicemente l’arte. Ed eccolo: nel loro modo di argomentare contro,
nessuna necessità può obbligare chicchessia a credere che quest’arte
non sia vero, a condizione di prestarvi attenzione. Poiché il loro
argomento è basato su una comparazione dal più verso il meno, e la
conseguenza che essi ne traggono corrobora la loro fantasia ed il loro
errore. Questi non contengono alcuna conseguenza necessaria, ma al
massimo una contingenza in relazione a diversi casi.
Inoltre, è certo che, nel nostro tempo, si trovano assai pochi
filosofi che conoscono i segreti della natura. Al contrario, essi
omettono con negligenza di ricercarli e di conoscerli. Ecco perché
essi non sanno migliorare e perfezionare le cose imperfette con le
operazioni dovute. E la maggior parte sono incapaci di discernere le
cose adatte dalle inadatte,
le prossime dalle lontane. È questa la causa per cui molti sviano e
perdono il senso. Gli antichi filosofi, loro erano di un genio assai
più profondo ed, operando, erano più applicati. In effetti, come dice
Ludovico Lazarelli,
per conoscere i profondi segreti della natura i Filosofi hanno
talvolta osato scendere negli antri, soggiornare in foreste e montagne
per scrutare gli astri con un genio artista, per osservare quali
potenze essi abbiano, quali luoghi della terra sono adatti ai metalli,
quali sono le materie e quali sono le distinzioni che possono farvisi.
Ed è dunque per la loro propria utilità e per quella dei loro figli
che, con la loro lunga investigazione, questo magistero è stato
trovato. Perché i filosofi ed i loro figli sono i soli a comprendere
la forza della natura ed a non ignorare la sua disposizione.
Così dunque, considerato che molti grandi filosofi affermano che
quest’arte trasmutatoria è fattibile e che hanno lasciato dietro di
loro molti libri scritti, è iniquo e stolto negare la verità dell’arte
stessa, neppure se nessuna ragione, né nessuna esperienza ne
testimonianza lo provano. Ecco perché Morieno ha ben detto che c’è una
grande distanza tra il saggio e l’insensato, tra il cieco ed il
vedente, ed il giudizio è identico per colui che opera male e
l’ignorante. Da ciò si conclude dunque che l’arte è vero.
CHE QUELLI CHE CREDONO
NELLA VERITÀ DELL’ARTE NON
TUTTI SANNO USARNE, NÉ
OPERARE SECONDO [I SUOI PRINCIPI]
Capitolo II
Ci sono alcuni tuttavia che credono fermamente nella verità di quest’arte
mobilissima, ma non hanno tentato di verificarne la verità attraverso
l’esperienza e non sanno provarla. Qualcuno tra questi, assai debole,
consente onestamente alla verità e vi aderisce, ma vinto dalla
moltitudine delle sentenze e dalla grandezza degli autori, cede l
combattimento.
Ma esiste, del resto, una cosa che trascina facilmente tutti a
credere: è la voglia di possedere e l’avidità delle voluttà. La
voluttà da sola in effetti, produce una enorme quantità di cupidi. È
ciò che dice ancora lo stesso filosofo Ludovico Lazarelli: … gli
uomini che si danno alle delizie terrestri, desiderano anzitutto le
delizie terrestri e, per acquisirle, non rinunciano ad alcuna opera,
ad alcuno lavoro ,
secondo quel famoso verso di quello straordinario profeta che fu
Virgilio:
A cosa non obblighi tu i ventri
mortali
o fame sacra dell’oro?
È dunque perché tutti gli uomini cercano le delizie e tengono a poter
vivere bene nella felicità che quasi tutti i piaceri di questo mondo
possono soprattutto acquisirsi con le ricchezze, secondo l’adagio
comune: tutto obbedisce al denaro. Ed al capitolo V delle
Etiche il Filosofo
dice: Per fare ciò è stata inventata la moneta, affinché questa sia
per ogni uomo come una garanzia di possedere, in suo cambio, tutto
ciò ch’egli vuole.
Orbene, queste sono le più grandi ricchezze che sono promesse dal
magistero di quest’arte: se possibile del vero oro, del vero argento e
l’uno e l’altro in gran quantità senza gran lavoro. Possono
fabbricarsi delle monete che consentono di possedere tutto. Ecco
perché gli uomini, tanto i savi quanto i non savi, credono facilmente,
ambiscono a sperimentare, e sperimentando di acquisire. Ce ne sono
pochi tuttavia che raggiungono, lavorando, la verità dell’arte. C’è
una ragione a questo, oltre quelle già esposte: è l’ignoranza dei
segreti e la mancanza di studio. E la ragione speciale di ciò è pure
lei doppia.
La prima è il discorso. Avicenne dice: Ho ben osservato i libri di
quelli che confermano l’arte, ed ho trovato che essi erano vuoti dei
calcoli e dei ragionamenti che si trovano [ordinariamente] in ogni
arte. Ma ho invece notato che la maggior parte delle cose che essi
contengono erano simili ad una alienazione, cioè che si tratta di
metafore o di similitudini. Pertanto, non appena mi sono ricondotto ai
principi naturali, lì ho saputo che l’arte era vero.
La seconda ragione è il miscuglio del vero e del falso. È ciò che ha
fatto dire ad Ernaldo nel suo “Testamento”: I filosofi hanno posto
due misure nei loro libri: una vera ed una falsa. Quando si tratta
del vero, essi lo hanno messo in parole oscure per non essere compresi
che dai figli della dottrina: per timore che non sia dati a degli empi
con un modo d’agire profano. Quanto al falso, essi l’hanno avvolto con
parole intelligenti. Ed è questo che si persegue comunemente operando
su del Mercurio, sullo Zolfo, dell’Arsenico e perfino sui corpi essi
stessi, e non hanno trovato niente. Numerosissimi sono dunque quelli
che in quest’arte lavorano invano. Poiché non possono né trovare con
la loro propria ingenuità le cose opportune, né essere in condizione
di comprendere e di estrarre una sentenza vera da quella degli altri.
Essi peccano sia nella dovuta materia, sia in una operazione non
adeguata. Ecco perché sarebbe opportuno consigliare a tali persone di
sospendere le loro [attività] manuali, astenendosi dall’operare,
oppure di leggere con maggiore diligenza i libri e di applicarsi a
comprendere pienamente ciò che hanno letto. È ciò che si legge nel
libro di Saturno: I filosofi non hanno scritto i loro libri che per
i loro figli, ed io chiamo “loro figli” quanti comprendono
perfettamente le loro affermazioni e non alla lettera.
In
effetti, l’operazione secondo l’intenzione della lettera è
dissipazione delle ricchezze e perdita di tempo.
Oh voi che avete la pelle
nera ed il cuore rosso,
non farete anche brillare
sul mondo la purezza
del vostro occhio ed il biancore della vostra luce?
Non riceverete santamente il Signore tra voi
e non
troverete un posto ai suoi inviati?
Louis Cattiaux , M+R, XXVII-33'
Stéphane Feye
|
|